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Dal 2015 al via la banca dati:
A partire dal 1 gennaio 2015 anche l’Italia dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) avere la propria banca dati del dna: con 10 anni di ritardo rispetto al trattato europeo. Ad oggi è già pronta la sede del laboratorio che dovrà ospitare la banca dati, presso il carcere di Rebibbia, e in televisione circola da tempo uno spot informativo. Ma nei fatti c’è ancora da aspettare.
La legge italiana in materia di banca dati del dna risale al 2009; tramite quel provvedimento il nostro paese aderì al trattato di Prum, già sottoscritto da Francia, Germania, Belgio, Spagna, Lussemburgo, Austria e Paesi Bassi, finalizzato ad una maggiore cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all’immigrazione clandestina.
Il secondo capitolo di quel trattato andava a prevedere l’impegno dei paesi aderenti a creare schedari nazionali di analisi del dna: una banca dati, per l’appunto. Cosa che gli altri paesi hanno provveduto a fare mentre l’Italia ancora latita.
Soggetti che dovranno consegnare il dna:
Tra i fattori che hanno rallentato il processo della creazione della banca dati, oltre alle classiche lungaggini tecniche tipiche del nostro paese vi è stato anche il problema relativo alla privacy: il garante ha posto dubbi sull’attuazione del provvedimento.
In base alla legge del 2009 il prelievo del dna toccherà esclusivamente le persone coinvolte in qualche procedimento giudiziario: più nello specifico, riguarderà soggetti
- ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari;
- arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto;
- detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;
- nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;
- ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva.
Un problema di privacy:
La raccolta del dna sarà inoltre relativa a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali; raccolta dei profili del dna di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati; raffronto dei profili del dna a fini di identificazione.
Ebbene secondo il garante della privacy rischierebbe di finire nel calderone della banca dati del dna anche chi dovesse essere sottoposto, pur solo per brevi periodi, a provvedimenti restrittivi salvo poi rivelarsi del tutto innocente.
In sostanza siamo destinati ad assistere al solito scontro tra chi richiede maggior sicurezza, in questo caso aumentando le armi a disposizione degli inquirenti tramite questa sorta di schedatura fornita dall’archivio del dna, e chi viceversa lotta per tutelare privacy e riservatezza. Staremo a vedere se, questa, volta, la deadline del 1 gennaio 2015 sarà rispettata.